Link all’articolo originale: Psicologi a domicilio 5/ La dimensione sospesa del lutto
Alla sua tomba come a tutte quelle su cui piansi, il mio dolore fu dedicato anche a quella parte di me che vi era sepolta
Le parole dello scrittore Italo Svevo mostrano nella loro immediatezza alcuni aspetti psicologici e di sofferenza che seguono alla perdita di una persona cara e prefigurano il significato e il valore che la sepoltura assume per la società. La morte da sempre è un evento doloroso e ineluttabile.
Il rituale della sepoltura, ad esempio, legato alla cura del sepolcro del defunto, è una misura di umanità che ci unisce dinanzi al mistero della morte e che, rinnovando l’amore nel ricordo, ci sostiene e incoraggia a non arrenderci all’inesorabile fluire del tempo.

SENZA CONTROLLO In questa sospensione di vita, che induce a costruire un nuovo modo di stare al mondo, anche l’esperienza della morte e del lutto assumono nuove connotazioni, tanto da richiedere la necessità di leggere queste esperienze dolorose attraverso altre lenti.
Quanti hanno perso un proprio caro si sono trovati privati delle consolazioni che contribuivano abitualmente a lenire il dolore per la perdita: dai riti religiosi alla partecipazione collettiva durante la sepoltura, momenti utili a sorreggere dal dolore e far sentire meno soli.
La stessa malattia viene vissuta diversamente: la salute del nostro familiare a casa si aggrava improvvisamente e noi familiari vediamo arrivare i sanitari nelle loro tute protettive, il nostro caro viene portato via in una barella a contenimento biologico e da allora siamo posti in quarantena. Lì il tempo si ferma, rimaniamo sospesi in una tempesta emotiva estenuante: i sensi di colpa, la preoccupazione, la disperazione. Finché non arriva la telefonata che conferma che quello che si temeva si è verificato realmente. Tutto avviene al di fuori del nostro controllo. Manca la possibilità di guardare la morte e di prenderne atto.
Com’è possibile in queste circostanze avviare il lento e doloroso processo di interiorizzazione della perdita se viene a mancare anche la dimensione consolatoria di un rito funebre che offra ai familiari una diluizione temporale del dolore e della presa di coscienza della perdita?

REINVENTARE IL RITO Il processo di elaborazione, già in circostanze non traumatiche, può figurarsi come un lavoro lungo e complesso. Ancor di più oggi diviene dunque necessario individuare delle modalità che ci permettano di indirizzare tale processo verso una dimensione adattiva. Alcune utili riflessioni ci vengono dal professor Primo Gelati, psicologo che affronta in diversi elaborati il tema del lutto. Egli sottolinea come in questa situazione i consueti rituali (rosari, veglie, funerali) non siano permessi, ma la funzione da essi assolta possa essere in parte ricreata dalla messa in atto di riti propri, con la funzione di contenere i due aspetti fondamentali dei riti sociali: l’accompagnamento e il commiato. Potremmo ad esempio creare in casa un piccolo altarino, un armadietto con foto o oggetti che ci permettano di ricordare il nostro caro durante la giornata: possiamo aprire le ante, pregare o parlare con i defunti e poi richiudere. Anche le foto sono in questi momenti un utile strumento terapeutico: attraverso il ricordo e la narrazione è possibile mantenere vivo il ricordo del nostro caro.

IL PROGETTO DIOCESANO Le stesse neuroscienze ci dicono infatti che i ricordi positivi del defunto incrementano la produzione di serotonina, neurotrasmettitore che ci consente di stare meglio, in una dimensione agrodolce del ricordo. Queste modalità possono sostenerci nel lavoro introspettivo che potrà aiutarci ad affrontare la sofferenza, senza che questa diventi insostenibile e ci spaventi.
Qualora essa si trasformi in una ferita aperta, difficile da rimarginare, è utile rivolgersi a uno specialista, che possa guidarci nella riattivazione delle risorse necessarie. Nasce ad esempio con questo intento il progetto “Aiutami a dire arrivederci”, promosso dal Vescovo monsignor Maurizio Gervasoni.
Si tratta di uno sportello che attraverso il coinvolgimento di professionisti della salute, sostenga quanti stanno soffrendo per aver perso un proprio familiare.
L’iter complesso di elaborazione conduce infine a una conciliazione di tre dimensioni:
- quello che è stato e non potrà più essere
- quello che avrebbe potuto essere e non sarà
- quello che potrà ancora essere
Quando questi tre elementi riusciranno a convivere senza originare una lacerazione, la cicatrice della ferita che si è venuta a creare si sarà formata:
ci indicherà sempre che lì sotto c’è quella ferita, ma il dolore sarà meno acuto e la persona potrà tornare ad aprirsi a nuovi orizzonti, inserendosi nuovamente nel flusso della vita.
Dott. Nicola Allegri
Dott.ssa Antonella Auletta
Dott.ssa Federica Del Signore